Con la faccia a terra

La prostrazione durante l’ordinazione sacerdotale: il momento in cui ci eleviamo è proprio quello in cui ci riconosciamo la nostra sproporzione al compito che Dio ci affida.

Il momento della prostrazione degli ordinandi, durante le ordinazioni sacerdotali del giugno 2015 (foto Giovanazzi)

La cerimonia dell’ordinazione sacerdotale prevede un gesto che rimane impresso nella memoria di chi lo vive e di chi vi assiste. I giovani uomini che stanno per essere consacrati vengono invitati a prostrarsi e a pregare con la faccia rivolta al suolo. Dio sta per prendere possesso del loro essere, attraverso l’imposizione delle mani del vescovo, donando loro il potere di dire «Io» al posto di Cristo. Gettandosi a terra, essi esprimono la consapevolezza della loro assoluta sproporzione dinnanzi al compito che ricevono.
Prostrarsi è un gesto forte, ma quando siamo interiormente dominati dalla presenza del Mistero lo sentiamo adeguato. Nei primi mesi della mia quarta ginnasio, uscì in Italia il film di Krzysztof Zanussi, Da un paese lontano. Ci portarono a vederlo con tutta la scuola. Mi rimase impressa la scena in cui Karol Wojtyła, in attesa del treno che lo porterà a Cracovia dove si insedierà come vescovo, prega prostrato nella cappella di un convento di Varsavia. Chiede a una suora la cortesia di avvisarlo all’ora della partenza e poi si immerge nel suo dialogo silenzioso, stendendosi sul pavimento. Guardando il film, desiderai di poter pregare come lui. Mi affascinò la confidenza che il suo gesto esprimeva verso un Dio tante volte frequentato. E, insieme, il senso così nobile della sua infinita maestà.

Nell’atto della prostrazione si uniscono familiarità e senso della potenza operante di Dio.


Anche Gesù si è gettato a terra in preghiera, nell’orto del Getsemani, nel momento della sua estrema debolezza umana, e ha invocato Dio chiamandolo Abbà. Nell’atto della prostrazione si uniscono familiarità e senso della potenza operante di Dio.
Mentre gli ordinandi sono distesi davanti all’altare, tutta la Chiesa prega con loro. È uno dei momenti più suggestivi della cerimonia di consacrazione dei nuovi sacerdoti. Avvertiamo che il cielo si unisce alla terra in un’unica supplica ed è come se quegli uomini sdraiati venissero sollevati e portati al cospetto di Dio.
Tutti si inginocchiano e invocano gli angeli e i santi con il canto delle litanie. Una lunga sequenza di nomi si dipana e un invito viene ripetuto: Prega per noi, pregate per noi. Ad ogni nome corrisponde un volto e una chiamata a servire Cristo, una vita compiuta. I nomi misteriosi degli angeli. I grandi patriarchi e i profeti del popolo ebraico. Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni e gli altri apostoli, nomi che fondano l’autocoscienza di ogni cristiano. E poi tanti altri uomini, donne e bambini, vissuti in epoche lontane o in tempi recenti, volti e storie cari ai giovani che ora sono distesi a terra. Nei mesi precedenti li hanno scelti con cura, come una sintesi del loro itinerario di crescita nella fede, e ora tutti li invocano per loro. L’intero paradiso, ogni peccatore salvato, si unisce a chi prega sulla terra in un unico coro di intercessione.

Si dice che Dio esaudisca le domande che in quel momento l’uomo gli rivolge.
Ai membri della Fraternità che si preparano a ricevere l’ordinazione chiediamo di riflettervi lungamente, per poter presentare a Dio i loro desideri più veri, le domande più radicali, in piena coscienza e libertà, senza giri di parole, abbandonandosi con fiducia nelle mani di Colui che può tutto.

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