L’immensa sicurezza

Accogliere l’altro, il diverso da sé, è possibile solo se c’è una fonte di sicurezza nel cuore, la scoperta di ciò che Qualcuno ha già fatto con noi.

Paolo Veronese, «Cena in casa di Simone» (part.), 1570.

Improvvisamente, in questi ultimi mesi, la parola «accoglienza» è uscita dall’anonimato sociale per essere messa al centro delle discussioni pubbliche. Le grandi migrazioni di popoli, mossi dalla necessità verso l’antico continente europeo, hanno posto il problema dell’accoglienza in primo piano.

Eppure quello dell’accoglienza è un problema che riguarda non solo questi grandi eventi, la politica o l’azione sociale, ma il vissuto di ciascuno. Per convivere bisogna accogliere. Accettare che gli altri abbiano uno spazio nelle nostre esistenze. Nel lavoro, nei condomini, ma anche nella stessa famiglia. Accogliere poi è fare i conti con la diversità degli altri. L’altro, colui che mi sta accanto, che entra nel mio spazio vitale, non è mai come io vorrei, non è riducibile alla mia immagine di come lui dovrebbe essere. Eppure, qualcosa ci tenta sempre verso questa riduzione: vorremmo che l’altro, che la realtà ci mette vicino, non ci desse troppo fastidio, non ci costringesse a cambiare le nostre abitudini. È vero: i cambiamenti a volte sono drammatici, pesanti da portare, ma normalmente non sono soltanto i cambiamenti epocali, a darci fastidio. Sono invece i cambiamenti quotidiani, piccoli, nel lavoro o a casa. Se qualcuno occupa il posto dove parcheggiamo di solito ci arrabbiamo, e magari dieci metri più in là c’è spazio… Se un figlio ha progetti diversi da quelli che i genitori hanno sempre immaginato per lui, la vita famigliare diventa invivibile. Se il nonno non può più vivere da solo, sono poche le famiglie disposte a prenderlo in casa. L’accoglienza ci fa paura. La diversità ci fa paura. Perché?

Dio è sommamente diverso da noi, ma nell’imparare l’accoglienza, facendo spazio agli altri, facciamo spazio a Lui.

La diversità disturba perché non entra nei nostri schemi di pensiero e nelle nostre abitudini. Mina il no­stro progetto di pace e sicurezza. Il vangelo ci richiama il rischio di un ideale di pace e sicurezza costruito secondo il nostro progetto. È la parabola di quell’uomo ricco che ha raggiunto una certa sicurezza: le cose vanno bene, la campagna ha dato di nuovo un buon raccolto. Allora progetta di costruirsi dei granai più grandi, poi di andare in pensione e di passare il resto dei suoi anni vivendo di rendita. Stolto – è la voce di Dio che gli parla – que­sta notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà? L’avarizia non è, come pensiamo, il semplice voler tenere tutto per sé, ma un ideale di sicurezza in cui, come il ricco della parabola, tentiamo di accumulare difese, schemi, abitudini per una vita sorretta da una falsa pace, senza fastidi, senza nessun dolore. Cerchiamo di accumulare barriere e filtri per non dover soffrire, in fondo per non dover morire. Ma, come dice la parabola, si tratta di un tentativo vano, “stolto”, come dice la voce di Dio.

Ha detto Jean Vanier: Accogliere è un segno di vera maturità umana e cristiana. Non è soltanto aprire la propria casa a qualcuno. È fargli spazio nel proprio cuore perché possa esistere e crescere; uno spazio nel quale si senta accettato così com’è, con le sue ferite e i suoi doni. Questo suppone che esista un luogo segreto e calmo nel nostro cuore dove gli altri possono riposarsi. Se il cuore non è calmo non può accogliere.
Non si può accogliere (né in senso personale né in senso sociale) se non c’è una fonte di sicurezza nel cuore. Questa fonte, come ci ha detto il Vangelo, non può essere frutto di un nostro sforzo, di una nostra capacità di difesa, di un nostro vano tentativo. Accogliere è scoprire quello che Qualcuno ha già fatto con noi. Siamo stati accolti per primi, amati per primi, la nostra diversità è stata accettata, c’è stato dato uno spazio. C’è qualcuno che ci ama così, questa è l’unica ma immensa sicurezza sulla quale nessuna paura può vincere. Una sicurezza che rende l’ansia qualcosa di inutile. Allora si comprende perché Gesù nel Vangelo si mette al centro di questa accoglienza: Ero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35). Lo fa per liberarci dalla prigione della nostra ansia, della nostra avarizia esistenziale. Dio è sommamente diverso da noi, ma nell’imparare l’accoglienza, facendo spazio agli altri, facciamo spazio a Lui, l’unica vera sicurezza possibile per il nostro cuore.

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