Verità e carità

Spesso si pensa che queste due parole siano inconciliabili: se affermo la verità non ho carità; se mostro carità devo sacrificare la verità. Benedetto XVI e papa Francesco testimoniano qual è il vero amore.

«Madonna con il Bambino», dipinto nelle Catacombe di santa Priscilla (III sec.), a Roma.

A tutti capita di pensare che una persona che conosciamo dovrebbe correggere il modo in cui ragiona o si comporta. Che dovrebbe cambiare, magari staccarsi da una situazione che la danneggia e danneggia altri. Ci troviamo così nella situazione di dover dire all’altro che sbaglia.
Che cosa fare quando ci sentiamo interpellati in questo modo? È giusto manifestare i nostri pensieri, affermare ciò che crediamo vero? Amare veramente l’altro non significa piuttosto accettarlo così come è? Nella storia di un’amicizia, domande o dubbi come questi si ripresentano spesso, e così in famiglia o al lavoro. Forse ci hanno trattenuto, a volte, dal parlare francamente a un figlio, a un amico, a un collega.

All’inizio della sua ultima enciclica, Benedetto XVI dedica al rapporto tra verità e carità due precise affermazioni. Dice anzitutto che la verità va cercata, trovata ed espressa nella carità. È un accento caro anche a papa Francesco. Aggiunge poi che senza verità l’amore diventa un guscio vuoto, scivola nel sentimentalismo e diventa preda delle emozioni e delle opinioni.
Le due affermazioni sono complementari e descrivono in realtà un’unica grande esperienza. In esse sta anche la chiave per guardare a coloro che forse si sentirebbero accusati dalle nostre parole senza che la loro possibile reazione ci porti a tacere un giudizio che potrebbe aiutarli.

Per cercare e offrire la verità nella carità, il punto di partenza non può che essere un sincero interesse per la persona dell’altro e per la sua situazione. Papa Francesco insiste nel richiamarci a questo: è necessario alimentare in noi una sensibilità carica di comprensione e la disponibilità a metterci in discussione nel dialogo con l’altro.
Gli uomini desiderano la verità, anche se spesso la negano o la combattono. Forse noi stessi abbiamo lottato contro quello che desideravamo o abbiamo rifiutato di riceverlo nel modo in cui ci veniva offerto, ribellandoci a chi ci voleva bene. Sappiamo per esperienza che la nostra debolezza, la viltà che a volte nascondiamo, l’amore al comodo o la paura del sacrificio ci spingono a cercare accomodamenti. Spesso cediamo anche per timore del giudizio degli altri o per pigrizia nel cercare ciò che è veramente giusto. Dobbiamo dunque avvertire in noi stessi il dramma delle persone che fuggono, che non accettano di sentirsi dire che le strade che percorrono portano all’infelicità. La loro situazione deve suscitare in noi dolore e partecipazione, non arroganza. La verità non può essere usata come un’arma per punire o per umiliare.

Un padre o amico che mi sta davanti con fermezza, che mi guarda con stima e proprio per questo mi ricorda ciò che è vero anche a costo di farmi soffrire, mi sta infatti dicendo che non sono solo.

Nello stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che, in famiglia come nella società, solo la chiarezza con cui ci mettiamo dalla parte della verità può nel tempo dissipare la confusione in cui è immerso chi ci sta intorno. Questa chiarezza non è presunzione, ma l’unica sorgente della pace. Se l’amore rinuncia a giudicare, si trasforma in un sentimento impotente, incapace di salvare proprio quella vicinanza con l’altro che desideriamo conservare. In una cultura senza verità, scrive papa Benedetto, amore è una parola abusata e distorta, che finisce per significare il contrario. Senza verità, in nome dell’amore si arrivano a giustificare la violenza e l’arbitrio.
Portare con pazienza le resistenze e l’ostilità di chi è lontano è dunque una forma di amore. Aspettare che l’altro si decida liberamente per ciò che è vero, in certi casi, è l’unico modo possibile per amarlo. Allo stesso modo, è una forma d’amore lavorare perché la verità sia proclamata e custodita, perché sia udibile da chi la cerca. Difendere dall’ingiustizia chi è più debole di fronte alle conseguenze dell’errore, o dell’ideologia di chi è più potente, è un’altra forma dello stesso amore. Non c’è contraddizione tra queste cose. Da qualche parte la luce della verità deve brillare, altrimenti la vita sarebbe disperata, e in particolare proprio quella di chi è più lontano e confuso.
Benedetto XVI sintetizza così: difendere la verità, proporla con convinzione e testimoniarla nella vita sono forme esigenti e insostituibili di carità. Difendere, proporre, testimoniare: tre parole che descrivono la chiamata che la verità ci rivolge nel rapporto con gli altri.

Un esempio. Pensiamo a quanti rapporti tra genitori e figli a un certo punto si interrompono e si riempiono di rancore. A volte ciò accade perché gli adulti non hanno avuto il coraggio di indicare con decisione ai più giovani la strada del vero compimento; forse perché neppure loro hanno accettato di percorrerla fino in fondo.
Offrire ai figli la verità nella carità a volte significa scontro, significa rischiare l’incomprensione, almeno per un certo tempo. Ma scuotere non è sempre un male. Non dobbiamo aver paura di ferire le persone a cui vogliamo bene, può essere un passaggio necessario per porre l’attenzione sulla direzione del cammino che porta al bene. La vita è più lunga di un litigio e forse quell’episodio difficile potrà essere ricordato un giorno come un momento di svolta. I nostri figli in fondo desiderano da noi proprio questa fedeltà, ce la chiedono. Un padre o amico che mi sta davanti con fermezza, che mi guarda con stima e proprio per questo mi ricorda ciò che è vero anche a costo di farmi soffrire, mi sta infatti dicendo che non sono solo.

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